Cambellotti Duilio
 
Date e luoghi
1876 - 1960
Duilio Cambellotti (Roma, 10 maggio 1876-31 gennaio 1960) dimostra fin da piccolo un notevole interesse per l'arte e già a cinque sei anni inizia a disegnare. I suoi primi soggetti, che conserveranno poi un valore particolare nella sua arte, sono i cavalli e le barche. Muove i primi passi nella bottega paterna - Antonio Cambellotti era intagliatore in legno e decoratore - e, terminati gli studi di ragioneria, nel 1893 s'iscrive al Museo Artistico Industriale dove frequenta i corsi di Alessandro Morani, Serafino Macchiati e Raffaello Ojetti. Nel 1895 muore il padre che lo aveva seguito nei suoi primi approcci all'arte: le prime opere di Duilio risentono sia dello stile neorinascimentale e neorococò dell'epoca sia della accuratezza esecutiva che si ritrova nei lavori del padre. Sulle tracce dell'arte antica e medievale si reca prima a Napoli dove ha modo di visitare il museo archeologico, poi a Ravenna per i mosaici bizantini; prosegue la ricerca di suggestioni al Museo egizio di Torino e a Pisa. Ma è col viaggio a Costantinopoli del 1898 che Cambellotti mette a fuoco un suo personale riferimento stilistico: i ricordi archiviati durante i viaggi riemergeranno in seguito nella sua poliedrica attività, partendo proprio dalla sua prima prova pubblica all'Esposizione Nazionale di Torino (1898)..
 
Note biografiche o storia istituzionale
Cambellotti è una delle personalità più complesse del mondo artistico romano della prima metà del secolo. Si cimenta con la pittura, la scultura, la grafica, la progettazione, le arti applicate, la didattica non senza un costante vivo interesse per la questione sociale. Nel 1900 in collaborazione con Alessandro Marcucci promuove infatti una serie di letture dantesche per il popolo; progetto che lo porta due anni più tardi alla vincita di un concorso Alinari per l'illustrazione della Divina Commedia. Nello stesso scorcio di secolo collabora alle riviste "L'Italia ride", "Fantasio" e "Novissima". Risale invece al 1907 il suo interesse per la ceramica a seguito di una visita a Firenze nei laboratori della Manifattura Fornaci San Lorenzo di Galileo e Chino Chini. Le forme occhieggiano a quelle della tradizione laziale-etrusca talvolta declinate verso un gusto déco e decorate con soggetti presi dal quotidiano come foglie e animali. Nello stesso anno aderisce al "Comitato delle Scuole" fondato da Giovanni Cena e dalla compagna, Sibilla Aleramo, nel tentativo di istituire scuole rurali per i contadini. Purtroppo l'iniziativa non decolla ma sembra piuttosto in sintonia con le convinzioni dell'artista: «Queste manifestazioni: libro o cartellone o xilografia, manifestazioni essenzialmente popolari, m'hanno facilmente condotto a qualche cosa di più intimo con l'anima popolare». Nel 1908 avvia una collaborazione con "La casa", rivista su cui pubblica progetti d'architettura, alcuni disegni e articoli che inneggiano al rinnovamento dell'arte alla luce delle nuove teorie promosse da Ruskin, Morris e Van de Velde. Qualche anno più tardi, nel 1910, Cambellotti scopre anche la duttilità del vetro, entra infatti in contatto col maestro vetraio Cesare Picchiarini e insieme avviano un programma per la produzione di vetrate artistiche, molte destinate a residenze private o a cappelle funerarie. La vera attività didattica ha inizio nel 1908 con la classe d'ornato e modellato all'Accademia di Belle Arti di Roma, impegno che porta avanti sino al 1930. Parallelamente alla carriera di docente, sostiene una campagna antimilitarista e insegna in corsi per mutilati di guerra. Alcune righe di memorie rivelano molto del suo rapporto con gli studenti: «mi sono proposto col mio insegnamento di allontanare i giovani da ogni eccessivo culto del passato, da ogni imitazione servile sia dei classici, sia degli stranieri [...] non mi accontento che i miei allievi si accostino al vero e riproducano il vero per vero, con una mentalità e con un processo "fotografico". Essi devono sentire l'opera d'arte, nella sua struttura e nelle sue ornamentazioni, come un tutto organico, anzi come un organismo vivente, in cui la decorazione non sia giustapposizione [...] io richiamo la loro attenzione sulla bellezza della pianta che è una cosa tutta viva [...] Il metodo dunque ch'io seguo consiste in questo: faccio constatare nelle piante e negli animali l'esistenza dominante di una forza che si manifesta con una linea esterna costante». Nel 1922 ottiene una personale all'esposizione di Belle Arti degli Amatori e Cultori di Roma, occasione che gli apre la via per le successive partecipazioni alle mostre di arte decorativa di Monza (1923, 1925 e 1927). La sua versatile formazione si rivela nella produzione di gioielli, lampade, vetrate, ceramiche, bronzetti mai banali, vasi, giocattoli in legno dipinto raffiguranti animali dell'agro. Cambellotti vanta infatti anche un'intensissima attività di scultore che per lo meno nella prima fase della carriera deve non poco alla formazione paterna per poi maturare all'interno di un clima di simbolismo moderato che oscilla tra un tardo naturalismo, che ormai s'avvia al liberty, e una personale simbologia del quotidiano. Più che qualsiasi altro aspetto della sua carriera, la scultura appare legata all'area laziale: I maremmani, bassorilievo comparso anche all'Esposizione di Roma del 1911, la lapide per Giovanni Cena a Latina, i monumenti ai caduti di Terracina (1920), di Priverno e di Borgo Hermada (1949-1950). Merita una parentesi a sé la sua attività di scenografo: «il mio primo contatto con la ribalta di un teatro nella qualità di allestitore di spettacoli fu nel 1906, allorché la Compagnia Stabile di Roma inaugurò il suo esperimento drammatico col Giulio Cesare di Shakespeare, affidandone a me l'allestimento scenico». Così ricorda nel 1938 il suo primo approccio alla scenografia, avvenuto in concomitanza con il nascente Stabile di Roma per cui realizza le scene del Giulio Cesare e del Re Lear di Shakespeare e nel 1908 anche de La nave di Gabriele d'Annunzio. Nel 1914 allarga la collaborazione al teatro greco di Siracusa che per l'esordio con l'Agamennone di Eschilo affida le scene a Cambellotti, inaugurando un sodalizio che seguiterà costante sino al 1948. L'artista romano si cala immediatamente sia nelle trame che nel contesto siciliano con puntuali riferimenti ai modelli archeologici e all'arte micenea e soprattutto, trovandosi di fronte alla difficile sfida del teatro all'aperto, crea delle quinte capaci «d'ingaggiare con il paesaggio» senza esserne fagocitate. Naturalmente la collaborazione non si limita alla scenografia, ma coinvolge anche i costumi e i manifesti pubblicitari di grande impatto, come quello realizzato nel 1921 per Coefore di Eschilo, dominato da un'Elettra cupa e scomposta, seguita dalle Coefore, testimoni del suo dramma.
 
Fondi archivistici
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